di Marcello Buttazzo –

Nelle carceri italiane si continua a morire. Dall’inizio dell’anno fino ad oggi fra le sbarre di dura e fredda ferraglia si sono suicidate 80 persone. Le ultime due vittime sono un recluso 41enne di origini marocchine, impiccatosi nella sua cella nel carcere di Santa Maria Maggiore a Venezia, e un casertano di 53 anni nel penitenziario di Santa Maria Capua Vetere, finito di nuovo dietro le sbarre dopo un lungo periodo di libertà per disintossicarsi dalle tossicodipendenze. La situazione è gravissima e occorrerebbero interventi istituzionali concreti e immediati. Il sovraffollamento è al massimo storico. Il 31 ottobre nelle prigioni si è arrivati a 62.110 presenze. La capienza totale è di 51.181 posti. I detenuti, di fatto, vivono ammassati nelle celle, spesso stipati in quattro, cinque o sei, in uno spazio fisico di appena 8-10 metri quadrati. Le prigioni sono popolate soprattutto da tossicodipendenti e da persone che hanno compiuto piccoli furti e ricettazione, da migranti senza carte in regola che hanno compiuto modesti reati. Il 30% dei detenuti ha manifestato disturbi di carattere psichiatrico. Ci chiediamo, ancora una volta: questa sofferta umanità deve stare per forza in prigione? Non ci sono alternative più praticabili? Aggiungiamo che il personale di sorveglianza è carente. Il governo Meloni è stato sollecitato in questi due anni ripetutamente da associazioni meritorie come “Nessuno tocchi Caino”, Antigone, Comunità di Sangt’Egidio, e altre, che hanno avanzato le loro proposte razionali per porre rimedio ad un dramma assoluto. Eppure il nostro esecutivo e il ministro Nordio, intenti soprattutto a creare nuovi reati, non hanno saputo ancora prendere alcuna decisione sensata e umanitaria. Sul triste “fenomeno” dei suicidi siamo costretti perfino ad ascoltare le discutibili e approssimate analisi del sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari, che ha affermato: “È un’operazione delicata e pericolosa correlare i suicidi al sovraffollamento”. 

Marcello Buttazzo