Conto la filosofia del “tutto è ammissibile”
di Marcello Buttazzo –
Il secolo attuale ha visto l’avvento preponderante della biologia, della fisica, della tecnologia. La genetica è una scienza in continua evoluzione. In particolare, la mappatura del genoma umano ha aperto una nuova era, promettenti e incoraggianti scenari, che però non sono l’agognata e esaustiva panacea, capace di risolvere per incanto e per magia ogni insoluta questione. Nei geni (cioè i tratti di Dna in grado di codificare caratteri) è iscritto il nostro passato, il presente; in essi viene preconizzato e predefinito il futuro. Si può anche intervenire sul Dna, con la correttezza e con il senso etico degli scienziati responsabili, che sanno interpretare la nostra carta d’identità genetica, senza affidare ad essa virtù miracolistiche. Tuttavia, l’iperdeterminismo biologico, quella deteriore “ossessione” che ha la pretesa di scorgere nel Dna tutta la storia dell’homo sapiens sapiens, non può essere assolutamente avvalorata. Sappiamo che l’adattamento culturale, alla fine, è nettamente preponderante su quello biologico e fisiologico. Ciononostante, negli ultimi anni, scienziati “assetati” di visioni giurano addirittura d’aver isolato il gene della “bellezza”, dell’“accidia”, dell’“invidia”, dell’“intelligenza”, della “criminalità”. Hanno raccontato storie assurde e inverosimili, brutte favole. Certo inossidabile e invasivo determinismo biologico, che attecchisce inevitabilmente in una società capitalistica, incline al business e alle degenerazioni di mercato, mostra tutto il suo fallimento. Noi siamo il nostro genoma, ma anche il nostro ambiente fisico. Da una interrelazione complessa di fattori si origina la nostra individualità. Se tutto fosse malauguratamente scritto nel Dna, saremmo esseri incompiuti, dimezzati. Una volta, Desmond Morris, grande e famoso zoologo ed etologo inglese, ebbe a dire qualcosa di nettamente discutibile. Secondo il parere dello scienziato, i maschi dell’uomo sono destinati a tradire per una sorta di “primigenia sollecitazione riproduttiva”, quella che in sostanza porta a perpetrare la specie. L’infedeltà, insomma, sarebbe “scritta nei geni”. “L’uomo che ama la propria moglie e i propri figli può incontrare difficoltà a resistere a una breve avventura sessuale”, sosteneva l’illustre etologo inglese. Non so se si possa condividere questa triste “filosofia dell’ineluttabilità”, del “tanto è tutto scritto” e, proprio per questo, quindi “tutto è ammissibile”, che porterebbe necessariamente e inevitabilmente a giustificare ogni comportamento. Non so se si possa sposare acriticamente questo meccanicismo, in nome del quale tutto sarebbe lecito.
Marcello Buttazzo
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