IL BALLO DEL BULLO
di Paolo Vincenti –
“C’è chi dice che siamo cattivi
c’è chi dice che siamo violenti
c’è chi dice che siamo scontenti
ma siamo solo deficienti…
C’è chi parla di emarginazione
e dà la colpa alla televisione
ma noi non siamo mica delinquenti
siamo un gruppo di studenti…
questa sera con gli amichetti miei
aspettiamo sulla via e giochiamo a chi violenterà
la prima ragazza che passa di qua, sì di qua
e tu intanto filma!
riprendi la sua faccia così mentre piange, bravo!
filma! che poi ci rivediamo giù al bar okay…”
(“Filma” – Francesco Baccini)
Il fenomeno del bullismo e le aggressioni dei baby criminali ai docenti nelle scuole italiane sono diventati un’emergenza nazionale. La recrudescenza di questi episodi di violenza sta facendo discutere, apre dibattiti in tv e sui mezzi di informazione, convegni specialistici, incontri di studio, campagne di sensibilizzazione, ma tutto questo non porta a risultati concreti.
Ad Aci Catena, Catania, nel 2014, Nerino Sciacca, professore di educazione fisica, riprende una ragazza perché parla continuamente al telefono durante la lezione, il padre della ragazza interviene e picchia il docente che è costretto a ricorrere alle cure mediche. Sempre nel 2014, al Liceo Classico “Tenca” di Milano, il professore Mario Caruselli viene aggredito da uno studente in classe. Questo episodio apre una vera e propria guerra interna alla scuola fra chi si scaglia contro il professore, anche sospeso dal Preside, perché avrebbe insultato pesantemente il ragazzo, oltrepassando quindi i limiti del dovere istituzionale, e chi si pone dalla sua parte e contro il Preside e i genitori del ragazzo.
Ad Avola, Siracusa, in una scuola media, gennaio 2018, un alunno rimproverato dal professore chiama al telefonino i genitori, i quali intervengono subito, aspettano che il professore esca dall’aula e lo accolgono con una gragnuola di calci e pugni, spedendo il docente in ospedale con una costola rotta. Al Liceo Scientifico “Dante Alighieri” di Matera, febbraio 2018, il professor Michele Ruscigno viene aggredito dal padre di una sua alunna dopo che gli aveva comunicato lo scarso rendimento della ragazza: ricoverato in ospedale, ha avuto trenta giorni di prognosi. A Caserta, Istituto Bachelet, sempre in febbraio, la professoressa Franca De Blasio riprende uno studente per i suoi pessimi voti in italiano invitandolo a studiare di più. La risposta del diciassettenne è quella di tagliarle la faccia con un coltello a serramanico. La professoressa, che poi è stata ricevuta addirittura dal Presidente della Repubblica, ricoverata in ospedale, viene medicata con trenta punti di sutura. Lo scapestrato studente, raggiunto dalle forze dell’ordine, è stato rinchiuso nel carcere minorile di Nisida.
La sfida educativa del nuovo millennio è quasi impossibile: troppo digitale l’epoca, troppo deboli e indifesi genitori e figli di fronte allo sbandamento generale. Sembra che le parole di giornalisti ed esperti non arrivino al cuore dei ragazzi e delle loro famiglie. Essi se ne fregano, semplicemente. Ma la situazione è da fine del mondo, una catastrofe immane.
Addirittura un gruppo di docenti scrive al Presidente della Repubblica per chiedere maggiori tutele per gli insegnanti. È successo con il portale “Professione insegnante”, su change.org: hanno inviato al Capo dello Stato una petizione con oltre 52.000 firme per chiedere delle norme ad hoc che tutelino e rafforzino la figura dell’insegnante quale pubblico ufficiale, inaspriscano le pene nei casi di violenza, tutelino la libertà degli insegnanti e il loro ruolo fondamentale. I sindacati di categoria però rispondono che i provvedimenti disciplinari ci sono, previsti dalla legge, solo che non sempre vengono applicati.
All’Istituto “Da Vinci”, Alessandria, aprile 2018, una professoressa con difficoltà motorie, è stata legata alla sedia da un gruppo di ragazzi e presa a calci e schiaffi, il tutto filmato dallo smartphone e postato sui social.
All’ITc di Velletri, in aprile, ad una professoressa che lo rimprovera, lo studente risponde minacciandola di farla sciogliere nell’acido, di mandarla all’ospedale e di bruciarle la macchina, mentre gli altri compagni ridono e riprendono la scena postandola ovviamente su Facebook. Eclatante il caso di Lucca e dell’insegnante che rimane inerme di fronte alle pesantissime intimidazioni dell’alunno indisciplinato. “Non mi faccia incazzare” grida l’insulso studentastro al prof di italiano e storia, presso un Istituto tecnico lucchese, e poi ancora “lei non ha capito chi è che comanda”. Il video ha sgomentato tutta Italia, non solo per la inqualificabile condotta del bullo ma anche per la resistenza passiva opposta dall’imbelle docente che al massimo pensa a salvare il tablet dalla furia distruttrice dei baby criminali. Questo episodio ha fatto molto discutere e l’indignazione si è riversata anche sul docente bullizzato, perché il suo comportamento squalifica l’intera categoria. Qui si pone un altro problema. È evidente che l’episodio filmato rappresenta l’acme di una situazione che chissà da quanto tempo andava degenerando. Come ha potuto il prof permettere ciò? Un docente così demotivato, indolente, codardo, impreparato di fronte alla spavalda arroganza della classe, può occupare quel posto di lavoro?
I docenti sono talmente stressati che molti istituti stanno chiedendo di regolamentare la figura dello psicologo di sostegno. Già molte scuole si sono dotate di uno psicologo che ascolta i professori in crisi, vicini a quella che gli studiosi chiamano sindrome di Barnout (“Il Messaggero”, 27 febbraio 2018). C’è chi si indigna, e chi va ripetendo che queste cose sono sempre successe. Certo che sono sempre successe, sarà appena il caso di ricordare la figura letteraria di Franti che compare nel libro “Cuore”, ma oggi sono all’attenzione mediatica come non accadeva in passato. E forse questo è uno dei rari casi in cui la comunicazione aiuta a diffondere la consapevolezza della deriva cui stiamo andando incontro. E più dell’informazione, più della riprovazione, più dello sdegno, certo propedeutici ad un momento di riscatto, occorrerebbe un nuovo Patto di corresponsabilità fra scuola e famiglia, non solo sulla carta, come quello che il Ministero della Pubblica Istruzione ha improntato, ma nei fatti; un patto educativo vero, e poi una selezione più rigida degli insegnanti. Infatti, per non dare una visione partigiana della situazione, occorre dire che certi insegnanti non contribuiscono alla causa, non fanno molto per uscire dalla marginalizzazione cui questa categoria professionale storicamente è condannata in Italia. Anzi, alcuni prof delle nuove generazioni, magari incazzati no global, no tav, no tap, soffiano sul fuoco del disagio con il loro modus operandi. Gente con più percing degli studenti, che parla sfacciatamente al telefonino in classe, mastica la chewing gum ed usa un linguaggio da trivio per essere alla stregua degli scioperati alunni, quanti danni può fare? Insegnanti come Lavinia Cassaro, che al corteo degli Antagonisti a Torino urla minacce di morte ai poliziotti, non aiuta la causa. Insegnanti, pur bravi e preparati, ma svogliati, demotivati, o peggio deboli, che non sanno tenere la classe, vedi il caso di Lucca, quanto male fanno all’istituzione scolastica, alla sua aura, alla sua sacralità? L’insegnante dovrebbe essere consapevole dell’alto ruolo che è chiamato a ricoprire. In una scuola elementare di Santa Maria di Sala, Venezia, una maestra scrive “squola” e viene licenziata per “incapacità didattica”. Questo è solo una caso fra i tanti: insegnanti che hanno avuto un percorso di studi irregolare, con enormi lacune mai colmate, che non si aggiornano, non studiano, rifiutano a priori ogni occasione di crescita professionale, vedono nero ogni qualvolta si presenta loro qualche incombenza extra time o extra curriculare, insegnanti che scrivono “zebbre” con due b, o “ xché” al posto di perché, come si fa negli sms, certo non possono rinsaldare quel patto educativo di cui sopra.
Episodi inquietanti anche a Lecce, maggio 2018, presso l’Istituto “Fermi”, dove si è registrato un caso grave di bullismo da parte di un gruppo nei confronti di un povero 15enne, e presso l’Istituto “Olivetti”, dove il ragazzo vittima di bullismo è finito addirittura in ospedale per le gravi percosse subite, e sottoposto ad intervento per l’asportazione della milza.
Il bullismo è solo la punta dell’iceberg di un diffuso malessere sociale che coinvolge i giovani. Alla base di questi atti inconsulti, c’è un profondo fermento nella nostra società, un brulicare nel ventre molle del Paese di iniziative insane, di vieto ribellismo, nell’assenza di idee, nel sottovuoto spinto di egolatria e narcisismo che permeano un’intera generazione, quella dei trentenni -quarantenni, sciagurati genitori di disgraziati figli. Una certa parte di responsabilità, nell’acuirsi di questo malessere stratificato a tutti i livelli, è attribuibile alla mordace crisi economica che da almeno un decennio ha investito il nostro Paese da Nord a Sud, con picchi nel meridione già cronicamente disagiato. Molto sbagliato è stato sottovalutare gli epifenomeni in atto nel nostro Paese, quelle dimostrazioni isolate ma non poco preoccupanti di fatti di sangue, di tragedie famigliari nella profonda provincia, di disagio e violenza intra moenia, perché in una società marcia, corrotta, sbandata, si trova humus per certi episodi come quelli che accadono regolarmente negli Stati Uniti, dove studenti armati fino ai denti entrano nelle scuole e compiono stragi. La disperazione del precariato, della mancanza di lavoro, la povertà dei ceti più disagiati, quelli delle moderne banlieu, la rabbia covata dal popolo dei cosiddetti “invisibili”, hanno certamente contribuito ad alzare il livello della tensione sociale. Ma tutte queste sono concause, fenomeni collaterali, stante la principale motivazione, che va ricercata nella discrasia fra volere e potere, nel passaggio generazionale, nello scollamento fra senso del dovere, disciplina, spirito di sacrificio (se non più praticati, non più trasmessi) e mancanza di valori, arrivismo, e tutte le oscenità del fast food sociale, nello showtime di una squadernata Italia.
Paolo Vincenti
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