di Marcello Buttazzo –

Nei prossimi giorni, il Consiglio regionale della Toscana legifererà sul suicidio assistito. La commissione Sanità della regione, presieduta da Enrico Sostegni del Pd, ha approvato una proposta che riprende la legge di iniziativa popolare dell’Associazione radicale Luca Coscioni. Già da anni la Corte Costituzionale ha sollecitato il nostro Parlamento silente e dormiente ad addivenire ad una apposita normativa sul “fine vita”. Il pronunciamento della Consulta è stato ribadito, nel 2023, dall’Avvocatura dello Stato, che tuttavia ha stabilito che fisiologicamente gli enti locali non potrebbero legiferare su questa dirimente questione bioetica. Il centrosinistra toscano insiste, invece, che la competenza legislativa potrebbe spettare alla regione, per rendere attuabile le sentenze della Corte Costituzionale. La questione è molto delicata. Se la politica nazionale italiana, nella sua globalità, sapesse guardare alla vita e alla morte senza soverchi ideologismi, senza deleterie smanie propagandistiche, senza furori confessionali, la via maestra per approdare ad una legge sul “fine vita” dovrebbe essere quella parlamentare. Ma la politica italiana contemporanea è in grado di prescegliere, di definire, di sancire con razionalità norme su una cruciale questione eticamente sensibile? Fra i partiti progressisti e di sinistra e il centrodestra, ancorato a visioni fissiste, esiste ancora una netta spaccatura bipolare. L’attuale maggioranza parlamentare, ligia al concetto di “sacralità della vita umana”, succube dei più integralistici movimenti “pro-life”, ha tutti i numeri in Parlamento per non approdare mai una legge sul suicidio assistito e sull’eutanasia. Contro la proposta del Pd e della maggioranza di centrosinistra in Regione Toscana, s’è schierata, come era prevedibile, il network di associazioni cattoliche “Ditelo sui tetti”, che ha catalizzato l’attenzione, con la consueta trita retorica, su fatti ontologici molto deboli. Secondo i cattolici di “Ditelo sui tetti”, non è possibile “eliminare una vita malata” e il Servizio sanitario non può scegliere di “indicare come “bene” che la fragilità non ha valore, che è bene “scartare” i deboli”. Siamo al cospetto del solito fraintendimento cattolico. Essere laicamente a favore d’una legge sul suicidio assistito, redatta in un rigoroso quadro normativo, non vuol dire cedere a perigliose derive nichilistiche. Si tratta solo di sancire il sacrosanto principio di autodeterminazione del soggetto, la sua autonomia morale. Non è un misfatto se, in certuni casi, quando l’esistenza a causa di una malattia perentoria e invalidante diviene impossibile da sopportare, un cittadino decide consapevolmente di staccare la spina. 

Marcello Buttazzo