di Antonio Stanca –

Martedì, a Parigi, nella casa dove da molto tempo viveva insieme alla moglie e dove molto malato era stato ultimamente, è morto Milan Kundera. Poeta, drammaturgo, saggista e soprattutto scrittore è stato e tra i più noti e celebri del ventesimo secolo. Aveva novantaquattro anni.

Nato a Brno, quando era Cecoslovacchia, nel 1929, aveva studiato musica e letteratura. Giovanissimo aveva pubblicato le prime poesie. Aveva continuato a studiare letteratura all’Università di Praga e vi aveva aggiunto i suoi interessi per il cinema. Dal 1948, non aveva ancora venti anni, si era iscritto al Partito Comunista col quale avrebbe avuto, nel tempo, un rapporto piuttosto difficile causa la sua indole, la sua inclinazione a discutere, criticare quanto non gli aggradava, non condivideva, quanto non considerava giusto. I rapporti col Partito si complicheranno sempre più dopo la sua adesione alla “Primavera di Praga”. E non solo col Partito ma col sistema politico del suo paese visto che si giungerà a togliergli la cittadinanza cecoslovacca e ad impedire la pubblicazione delle sue opere in Cecoslovacchia. Emigra, quindi, nel 1975 in Francia dove è stato docente presso l’Università di Rennes e di Parigi, dove ha ottenuto la cittadinanza francese, ha prodotto le sue opere maggiori pubblicate prima in traduzione francese e solo molto tempo dopo nell’originale ceco, dove è vissuto fino alla morte. Molto ha fatto: insieme alle prime esperienze poetiche c’erano state altre teatrali e in entrambe sempre attento si era mostrato a rilevare quanto avveniva nella realtà, nella vita e quanto nell’animo di chi vi assisteva, vi partecipava. Intorno agli anni ’60 aveva cominciato con la narrativa, con i racconti di Amori ridicoli, ed era passato poi ai romanzi. Dopo i primi avrebbe scritto gli altri in Francia insieme a molti saggi. In questi avrebbe trattato di argomenti importanti quali il romanzo europeo, le sue origini, gli sviluppi che lo avevano interessato. Nei romanzi, Lo scherzo, La vita è altrove, Il valzer degli addii, Il libro del riso e dell’oblio, L’insostenibile leggerezza dell’essere, L’immortalità, per dire dei più noti, Kundera continua a dire della realtà esterna, di quanto vi accade, non si trattiene dal muovere le sue critiche. Stavolta si tratta della realtà politica del suo paese e dei riflessi, delle conseguenze in ambito sociale, individuale. Da essa, però, lo scrittore muove verso una ben più ampia visione, dai problemi particolari di un posto, di un popolo, giunge a quelli più generali della vita, della società moderna. Dal contingente all’universale: è il segno dell’arte, di quella più autentica e quello di Kundera è stato uno degli esempi più riusciti. Soprattutto ne L’insostenibile leggerezza dell’essere si sarebbe potuto assistere a questo fenomeno. Sarebbe diventata la sua opera maggiore, avrebbe avuto una trasposizione cinematografica, avrebbe esteso la sua fama oltre ogni limite.

Nel 2011 François Ricard ha raccolto tutti gli scritti di Kundera in due volumi, li ha inseriti nella famosa serie della “Bibliothèque de la Pléiade” della Gallimard: un caso raro perché non riservato ad autori ancora in vita. È il più alto riconoscimento attribuito a Kundera che tanti ha avuto.

Un testimone dei tempi passati, di altri tempi lo fa sembrare tutto questo ed invece, pur non avendo egli rinunciato ad intendere l’arte come sempre era stato, ha saputo farla capace di contenuti, di temi quanto mai nuovi, moderni. È partito da sé, dalla sua vita, dai suoi posti, dalla sua gente, dai suoi problemi, dai suoi drammi e li ha inseriti in una dimensione più vasta, ha superato la singolare sua condizione ed è diventato l’espressione, la voce di quanto altrove succedeva, era di tutti. Dall’uomo all’umanità: è stato questo il passaggio compiuto da Kundera, questa l’operazione di trascendenza richiesta dall’arte, questo il motivo che lo ha fatto diventare grande!

Antonio Stanca