di Antonio Zoretti –

“La sposa nera” di Ilaria Seclì debutta con l’esilio, che solitamente avviene in conclusione; ma, si sa, un incipit è già di per se la fine. Prosegue con “a D.”, “Paul”, poi “Poesia n°1 per nessuno”, “Poesia n°2 per nessuno”, passando per “a F. F.”, “a Gian”, e dopo “Profezia”, fino a l’”Epilogo”: una finestra!
La finestra su cui “La sposa” volge le spalle aspettando una casa, un’antica dimora, sogno di un avvenimento, un’epifania, attesa come un vano da riempire, che melodiosamente dall’alto arriva, come un vento che spinge una visione di grazia, che bianca e lieve e tremula sale.
I silenzi, le pause, di cui è pregna la sua sostanza poetica trascende la materia stessa, e turba le istanze vitali. Pone antichi quesiti, passioni primordiali, avanza pretese mai nascoste, miraggio di amori ancestrali. Prepara culle per bambini mai nati, aspetta notti anniversarie per ospiti futuri portati dal vento a mugolare agli spifferi dell’uscio, per ritrovare la loro piccola dimora e non vedere svanire la propria fidanzata, portata via dal corso delle cose, così hanno in mano uno spino che protegge le sue più belle rose.
La finestra è pronta ad accoglierli nella futura casa.
Profezie, voli, venti, silenzi perfetti, sguardi immaginari, voci e fiati che svuotano la stessa voce… cercano la chiave per uscire dal filo di cui è avvolta la vacua scena delle maschere vuote. E solo in un pozzo, quale centro dell’universo, il cielo calerà le sue speranze e in profondità la sua luce illuminerà l’immaginario poetico.
Le stagioni curvano, muoiono, finendo nel magico silenzio nevoso, portandosi via il sogno universale e le verità sul mondo. E ricordando Rūmī (poeta mistico persiano): “La verità è uno specchio che cadendo si ruppe; ciascun essere umano prese un pezzettino di questo specchio e vedendovi riflessa la propria immagine credette di possedere l’intera verità”.
Già! Quanti pezzetti di specchio può contemplare il problema della verità. E poi… cosa ci garantisce che sia vera? C’è un verso di Miguel Unamuno che dice: “Di terribile chiarezza è il nulla della verità”. E ancora: “Tenebra è la luce dove c’è luce soltanto”.
Così “La sposa nera” si pone indifferente al silenzio del niente; e il suo occhio si posa solo su un residuo di una scena densa.
“La verità non esiste, esiste solo nel delirio del linguaggio: nominare le cose e non conoscerle”. E “La sposa” per farsi coraggio nomina “Gian”; e in “Profezia” «ogni bambino canterà la verità sul mondo e sarà creduta la sua versione delle cose».
“La sposa nera” diventa soffio, soffio di vento, vocata all’amore e al nulla. È un suono la sua voce, un’eco che richiama e evoca mondi antichi e lontani; una musica che ‘non dice nulla’, nell’esatta misura in cui essa ‘dice tutto’. Del resto la scoperta del vero a cui il sapere moderno giunge è solo la scoperta del nulla, poiché elimina, con la facoltà dell’illusione, la fonte stessa della felicità e della vitalità. Il passaggio dalla poesia al pensiero, dall’antico al moderno, dall’illusione alla verità, ci fa perdere le basi della felicità e ancor più della stessa esperienza.
Riprendiamo per mano il poeta quindi, quando ritrae una passione. E immaginiamo di sentirne la natura e la ventura. Un movimento del cuore che batte di speranza, desiderio d’amore nascosto per noi esseri terreni. Ecco, il nostro compito…
O caro immaginar…
Non più di un ricordo ora resta” dice alla fine “La sposa”. E come un lume che si spegne nuovamente e ci vuol forza a rianimarlo, anche se certo morrà di nuovo prima del suo tempo impaziente.
Eppure ella vive, e i suoi occhi si chiudono soltanto per guardarsi dentro. Colei che più ha voluto e cercato più amaramente deve piangere il vero fato.
“L’Albero della Vita non fu mai l’Albero della Scienza”. L’Albero della Vita deve avere la grandezza e la sostanza di cui son fatti i nostri sogni leggiadri. E chissà per quante vite ancora, consacrate a questo esercizio, dobbiamo perseguire e quanto devotamente la beatissima grazia della felicità.

     Epilogo: “Ferma lì, immobile si congeda, nessuna attesa più. Resta il vento, unico uomo. L’altare vuoto”. “La finestra non ha casa. La finestra è verde. La casa risplende”.

[“La sposa nera” di Ilaria Seclì
è edita a cura di Marco Ercolani
nella collana Segni e Visioni
de “I libri dell’Arca” edizioni Joker]