Il 29 giugno s’inaugura a Lecce, al Museo Castromediano,
Elpís. Prometeo o del sogno infranto di Europa” di Costas Varotsos
mostra a cura di Giusi Giaracuni e Luigi De Luca.


di Luigi De Luca*

“Le rovine sono la speranza”
Paul Celan

La storia inizia nel centro della scena del teatro antico di Epidauro nel 2019, dove Costas Varotsos realizzò l’altissima lancia rossa alla cui base era incatenato e schiacciato dalla condanna di Zeus e dai mali del mondo il Prometeo del regista Stravros Tsakiris. La violenza di un urlo e la potenza di un fulmine generate dai disastri dell’umanità si scagliavano dalla terra verso il cielo a rischiarare le tenebre. “Elpis” appunto, la forma della speranza.

Intorno a questo simbolo nasce il progetto espositivo di Varotsos a Lecce, un altro capitolo della ricerca che impegna il Museo Castromediano: cogliere la permanenza dell’antico nella cultura e nella società contemporanea. Prometeo, secondo la lettura di Eschilo, racchiude nella sua preveggenza il passato e il presente, i segreti che governano il cosmo e la conoscenza tecnica.

Artista abituato a lavorare con lo spazio e con la luce, con Elpis Varotsos ci interroga sull’origine e sul futuro della cultura. Parafrasando Focault, pone il problema di una “archeologia del sapere” contrapposta all’archeologia delle cose a cui spesso i musei sono ridotti. L’idea di quale cultura per quale mondo, già alla base della ricostruzione del Castromediano per “paesaggi culturali”, sta fuori dalla visione della storia come un susseguirsi di accadimenti e dentro l’interpretazione come un insieme di contesti, prodotto della cultura di una comunità. Una storia come dovrebbe essere l’arte, fuori dalla temporalità ma dentro la società.

Nella rappresentazione di Varotsos il fuoco, causa della condanna di Prometeo, e la rupe, luogo dell’esilio e della punizione del Titano, coincidono in un’opera che tiene insieme la terra e il cielo, gli dèi e gli uomini. Prometeo, abbandonata l’aureola divina per assumere le fattezze umane, è rappresentato nella forma del Poeta. Di fronte a una umanità ridotta a uno stato sub umano da un modello di sviluppo incompatibile con la sopravvivenza del pianeta, svilita dalla logica folle e auto distruttiva della guerra, il Prometeo, Dio, Uomo, Poeta è un richiamo alla verticalità del gesto artistico, un salto oltre la mediocrità e la povertà intellettuale e spirituale, oltre i sogni infranti di una Europa annichilita dalla paura di perdere il proprio benessere.

Il Prometeo – ha scritto Jan Kott – è “la tragedia della verticalità: gli dèi sopra, gli uomini sotto”. Ma il cielo di Varotsos, nel quale si perde l’opera collocata al centro dello spazio esterno del Castromediano, è desolatamente vuoto; l’interesse dell’artista è tutto per gli uomini, è a loro che la verticalità perentoria della sua arte si rivolge, per scuoterli dalla paralizzante paura di vivere. Per coltivare la speranza come coscienza di se stessi e dei propri limiti, responsabilità verso i propri simili e verso il mondo, capacità di prevedere le conseguenze delle proprie azioni.

Sia Elpis che Prometeo, le due opere donate da Varotsos al Castromediano, realizzate grazie al Piano per l’Arte Contemporanea del Ministero della Cultura e con l’aiuto di tante imprese del territorio, hanno il compito di risvegliare in noi la coscienza del tutto, che racchiude ogni diversità e ogni marginalità, ogni fragilità, in un sentimento universale di pietas verso l’uomo e la natura.

Il sentimento politico che attraversa tutta l’opera di Varotsos nella mostra di Lecce lo troviamo rappresentato in Europe, definita come la Guernica dei nostri tempi. Un’opera di dura denuncia delle regole che governano il mondo e che ci riporta a Prometeo e alla lettura che ne fece la cultura romantica, individuando nel Titano quell’annuncio di rivolta che avrebbe cambiato l’Europa.

Fu proprio Shelley, nei versi dedicati a Prometeo, a svelare al mondo che ciò che teneva in piedi gli imperi era la paura dei popoli. La sua domanda: “Who reigns?”, era già un “presentimento di rivoluzione”.

“La saggezza inizia dove finisce la paura; essa inizia con la rivolta di Prometeo” ha scritto A. Gide. Il senso della lancia rossa scagliata contro il cielo dalle fondamenta di un museo sta nell’invito a liberarci da ogni paura e a occuparci del mondo che, anche se non può essere cambiato, deve essere salvato.

Questa è la preoccupazione di un’arte che germoglia sui “mormorii poetici o tragici del quotidiano”, che cerca la propria ispirazione nei campi afflitti dal morbo della Xylella o nelle botteghe artigiane. A questa categoria di artisti appartiene Costas Varotsos. Le sue opere conservano i segni della fatica, l’odore delle officine metallurgiche, delle fabbriche del vetro; mostrano bulloni, tiranti e silicone che tengono insieme le opere, cemento e staffe che le ancorano al suolo. Non nascondono le imperfezioni e lo sforzo necessario per raggiungere l’equilibrio instabile che le rende dinamiche e vive, vere, nel rapporto con lo spazio e con la luce da cui prendono forma e a cui restituiscono significato.

Un’arte che si nutre di libertà e di tecnica con l’unico obiettivo di concedere all’umanità una possibilità di felicità, un altro modo di chiamare la speranza.

Luigi De Luca
*Direttore del Museo Castromediano

Nuovo Quotidiano di Puglia, domenica 23 giugno 2024