di Luigi Lezzi –

IRREGOLARE FESTIVAL
ARNESANO PALAZZO MARCHESALE 11 SET. H 17,00:

L’autore del contributo è Luigi Lezzi che nel 1971, assieme a Rina Durante, promotrice dell’iniziativa, ad Anna D’Ignazio e a Bucci Caldarulo, ha dato vita al Gruppo Folk Salentino, poi Nuovo Canzoniere del Salento, Gruppo di ricerca e di riproposta della Musica Popolare Salentina.

Anna D’Ignazio ha riferito sulla genesi del Gruppo Folk Salentino che, è costituito agli inizi da alcuni componenti del Gruppo Universitario Teatrale. Anna ha detto come fu il regista del G.U.T., Giorgio Pressburger, che ci stimolò a cercare una melodia popolare da canticchiare nel corso della rappresentazione. Chi non sa chi è Pressburger può farsi dire da Google quale era il suo profondo impegno sociale nel mettere in scena le sue opere. “Una relazione accademica”, un racconto breve di Kafka, era il tema dello spettacolo che, in sintesi, narra la cattura in Africa di uno scimpanzé e il suo graduale e traumatico inserimento nel contesto umano. Io allora ero la scimmia e la cosa mi segnò a tal punto da decidere di dover lottare per il resto della mia vita per restare tale.

Quando il gruppo esaurì la sua attività la scelta musicale del regista suggerì a Rina Durante la possibilità di mettere su un gruppo di ricerca e di riproposta della tradizione musicale salentina.

Anna ha detto tutto questo a me il compito di rispondere alle aspettative degli organizzatori di questo incontro:il dovere storico di chiarire, oltre a come e quando abbia avuto inizio questo fenomeno, quali erano le intenzioni dei loro promotori, per vedere in che misura esse siano state rispettate o piuttosto tradite.

La tradizione comporta necessariamente un tradimento. L’etimo delle due parole è lo stesso. Il Gruppo Folk Salentino, nel riproporre la tradizione, ne ha deliberatamente tradito alcuni aspetti, ne ha forzato il contesto esecutivo portandola su un palco; ne ha forzato i testi giustapponendo spesso frammenti raccolti in occasioni e in luoghi i più disparati. Ma questo deliberato tradimento era messo in atto lucidamente in funzione politica e sociale, come era nelle chiare intenzioni di quanti, con a capo Giovanna Marini, facevano nel resto del territorio nazionale.

La storia e il tempo che sono venuti quando si è chiusa l’esperienza del Gruppo Folk Salentino ha operato un tradimento al quadrato, se così si può dire. Ha preso per tradizione quel nostro repertorio già frutto di tradimento (è questo, con la stessa disposizione delle strofe e con gli stessi arrangiamenti musicali, che ancora circola nelle mani dei tanti gruppi di riproposta) e ne ha tradito inconsapevolmente e completamente le intenzioni. 

Sappiamo che la Storia con l’iniziale maiuscola, quella che è destinata a rimanere nella coscienza collettiva, non è mai neutra, ma viene sempre confezionata accuratamente dal Sistema Egemone in maniera tale da offuscare e sopprimere la Verità, non appena essa presenta caratteri eversivi per il Sistema stesso. Sicché gli obbiettivi dichiaratamente politici e, appunto, eversivi che si proponevano i primi pionieri della ricerca e della riproposta della musica popolare negli anni Settanta(non solo nel Salento ma in tutto il territorio nazionale) dovevano essere messi a tacere o, in qualsiasi modo, addomesticati a tornaconto del Sistema.

Quali erano questi obbiettivi per noi pionieri e quali sono oggi per chi manipola ancora il patrimonio musicale da noi rimesso in circolazione? La risposta è talmente semplice per me quanto, me ne rendo conto, talmente difficile per chi non conosce dal di dentro il clima di quegli anni. Il nostro disegno era assolutamente contestuale al disegno generale di quello che si definiva “il Movimento”, che richiedeva in modi tanto articolati quanto disparati un radicale cambiamento dei rapporti fra le Classi. In altre parole una Rivoluzione. Per quanto riguardava il Gruppo Folk Salentino era quello di servirci degli strumenti culturali della Classe Egemone (i mass media, lo spettacolo, le feste popolari…) per portare all’evidenza della Classe Subalterna l’esistenza e la proprietà di una cultura sua propria da contrapporre alla cultura egemone.

Purtroppo la lotta fra il Movimento e la Classe Egemone, detentrice della potenza economica, militare, dell’informazione, ecc.) era impari e, con l’andare del tempo, si è verificato esattamente il contrario. È stata la cultura egemone che ha fagocitato la cultura popolare facendone merce e strumento di marketing per i suoi prodotti. La tradizione è stata tradita; è stata vestita con gli abiti buoni ed è stata messa in vetrina accanto agli altri oggetti di consumo. I canti e i ritmi che, inseriti in una specifica liturgia, costituivano l’orizzonte esistenziale di un popolo e ne scandivano le attività, sono via via diventati elementi di spettacolo e merce di pura evasione.

Evidentemente era un destino segnato, se già nei primi anni Settanta c’era chi, fra gli analisti,si sforzava di metterci in guardia; Lombardi Satriani  lo faceva in un manualetto dal titolo molto esplicito, Folklore e Profitto con cui già illustrava le strategie in possesso del Sistema per manipolare il patrimonio popolare anche per opera di tanti che, “magari involontariamente possono rendersi complici di un Sistema basato sullo sfruttamento e sulla menzogna”.

Mi rendo conto di stare abusando di parole come Sistema, Classe Egemone, Classe Subalterna… che oggi possono apparire quantomeno consumate se non addirittura di sapore nostalgico. Eppure sta proprio nella loro eterna attualità la Verità che la Storia Egemone intende sopprimere. Anche oggi esistono, sebbene meno distintamente, le Classi. Solo che spesso colui che comunque subisce la condizione di subalternità ha difficoltà a definire se stesso“subalterno”.

La differenza fra ciò che si faceva allora e ciò che si fa oggi con la musica popolare, sta proprio nel fatto che chi la manipolava ne faceva strumento e bandiera di questa dura presa di coscienza, senza cedere all’illusione di essere estraneo alla condizione di subalternità per mezzo dell’autoaffermazione in qualità musicista folk o di cantante. Il potere di cui ci si sente investiti in tale ruolo è potere fittizio: quindici minuti di notorietà da concedere a chi accetta di sgomitare con più determinazione a scapito di quanti gli stanno accanto. Quello che si verifica è la famosa guerra fra poveri che lascia intatto il vero Potere in mano al ricco.

La valorizzazione del patrimonio culturale non doveva essere funzionale all’ascesa sociale del singolo, il front man, il divo, ma doveva servire al riscatto dell’intera classe subalterna di cui il singolo doveva restare umile portavoce. Ma le lusinghe del Potere hanno illuso gradualmente tutti:

-ricercatori ed analisti che si sono affrettati a pubblicare testi e registrazioni in attesa di qualche carica o del titolo di intellettuale;

-cantori ed esecutori musicali che per la faticosa pubblicazione di un CD a proprie spese si sono sentiti emuli di Frank Sinatra, di Charlie Mingus o di Charlie Parker;

-organizzatori di festival e di eventi che, tronfi del titolo di direttori artistici, si sono fatti strumento involontario di un processo funzionale all’inertizzazione di un materiale che originariamente doveva essere esplosivo.

Vogliamo ribadire, con l’autorità Lombardi Satriani, la generale involontarietà dell’azione di costoro. Per dirla evangelicamente dovremmo perdonarli perché non sanno quel che fanno. Dovrebbero però sapere che ognuno nel suo ruolo è stato efficacemente ammansito da un Sistema che, poco a poco, lo ha convinto di essere impotente e gli ha fatto accettare la sua impotenza. Ogni precario, ogni disoccupato, ogni lavoratore sfruttato non sa neanche più di appartenere ad una Classe destinata solo a subire le scelte culturali, oltreché economiche e sociali, di un Sistema che, attraverso la menzogna, elabora continuamente ciniche strategie per la sua stessa sopravvivenza.

Questo incontro vuole anche commemorare Piero Fumarola e qui non vogliamo nascondere che la scelta di utilizzare tale terminologia e tanta franchezza nell’esprimerci è dovuta anche al tentativo di esporre le nostre idee come se lui fosse qui accanto a noi, pronto ad azzerare aspramente ogni tentativo di retorica. Conosciamo tutti il suo caparbio modo di affrontare gli argomenti: assoluta onestà intellettuale e netto rifiuto di girare attorno alle cose che si debbono dire. La sua commemorazione ci dà anche modo di dire qualcosa sul comportamento della classe intellettuale a cui egli apparteneva per tentare un confronto con il comportamento di quella di oggi.

Abbiamo detto qualcosa circa il modo di affrontare l’argomento da parte di Luigi Maria Lombardi Satriani, ma potremmo mettere accanto a lui anche i nomi di altrettanto autorevoli intellettuali che contribuivano a corroborare la posizione politica del Gruppo Folk Salentino nei riguardi della Musica e della Cultura Popolare. Ci sentivamo sostenuti anche da Ernesto Mario Cirese, Roberto Leydi, Alessandro Portelli, Diego Carpitella, Alan Lomax, Leroi Jones; solo per citarne alcuni. Dalla pratica compositiva di Roberto De Simone che, manipolando la materia musicale della Campania, ne aveva fatto uno strumento di riscatto che si distingueva per essere sia tecnicamente ineccepibile che socialmente incisivo. Dov’è ora quella coraggiosa classe di intellettuali a cui apparteneva Piero Fumarola, uomini che si davano il compito di formare le nuove generazioni non solo nella propria materia di insegnamento, ma anche nella ricerca di forme di lotta per il riscatto della Classe? Forse anche l’intellettuale ha finito per confondere in gran parteil riscatto della classe subalterna con il proprio riscatto personale e si è accontentato nel vedersi promosso da figlio di operaio a dottore. Il corsivo è una citazione da Contessa di Paolo Pietrangeli, uno degli inni di lotta che il Gruppo Folk Salentino portava in giro insieme al repertorio popolare.

Quali sono oggi i riferimenti culturali di chi si fa promotore della riproposta della musica popolare salentina? Esistono dei seri analisti che ne possono giustificare la valenza sociale e culturale oltre che quella di mero strumento di marketing territoriale? C’è qualcuno che riesce a convincerci che assieme alla promozione turistica a tutti i costi si stia anche costruendo, attraverso la musica, un’alternativa sociale? Si sta tenendo presente la trasformazione di un luogo, il Salento, che, dotato in origine di una forte identità, è finito per diventare un non-luogo alla pari di tanti altri non-luoghi modellati su misura per il turismo come un’ennesima Disneyland? L’operazione ha certo il consenso e il foraggiamento degli Enti territoriali, ma si accorgono questi che la monocoltura, alla lunga, impoverisce il terreno e finisce per lasciarlo sterile? Non esistono anche altre forme di espressione da incentivare e far crescere in questo territorio? Altri generi musicali, le arti figurative, le produzioni letterarie…?

Intanto si è voluto ridurre il patrimonio musicale che alle origini noi distinguevamo in canti di lavoro, d’amore, di dispetto, di carattere urbano, rurale, da ballo,… ai soli brani dal ritmo sostenuto, che potessero essere inseriti nel nuovo genere che risponde ai canoni della neopizzica, i soli a soddisfare il pubblico che accorre sotto i palchi per sfogare le proprie energie fisiche e mettere da parte l’esercizio delle proprie capacità critiche, la curiosità antropologica nei riguardi del territorio e delle sue molte facce. Ma oramai la macchina funziona solo se asseconda populisticamente le aspettative di un pubblico che per decenni è stato accuratamente educato alla superficialità di giudizio sia su quello che fa che su quello che ascolta in quelle occasioni.

Financo Gino Castaldo, peraltro attento critico musicale, presentando l’ennesima pizzica dal palco della Notte della Taranta, si è arrischiato a sintetizzare il fenomeno del tarantismo, analizzato in tutte le sue complesse pieghe socio-culturali dall’équipe di De Martino, con un ossimoro del tipo bellissima malattia. Evidentemente mentre lo diceva non era d’accordo con se stesso, ma in quell’atmosfera da dance music non poteva fare altro se non assecondare i canoni della superficialità e del pressappochismo.

A suo tempo, quando uscì il libro di Alessandro Portelli La musica Popolare in America, ebbi modo di recensirlo per Lares, la rivista dell’Ateneo Salentino. Il libro faceva il punto sulla figura del folksinger americano Woody Guthrie che negli anni Trenta si faceva portavoce con le sue ballads delle istanze del proletariato travolto dalla grande crisi di quegli anni. Facevo notare come lo stesso Portelli in un intervento per la rivista Muzak dal titolo La rivoluzione dylaniata analizzava il rapporto fra il sofferto impegno sociale di Woody Guthrie e il prodotto musicale di Bob Dylan che di quello si dichiarava erede. Ora, in conclusione di questo intervento, mi viene di proporre un’equazione che sintetizza in qualche modo il rapporto fra la nostra posizione di pionieri del recupero della tradizione musicale e ciò che la storia di questi quarant’anni ne ha fatto: Woody Guthrie sta a Bob Dylan come il Gruppo Folk Salentino sta alla Neopizzica.

I primi termini dell’equazione, naturalmente con le dovute differenze di qualità estetica del loro risultato, hanno in comune la volontà di rappresentare un intervento sociale a tutti i costi. Non esigono condizioni particolari per l’esecuzione del repertorio, purché si raggiunga lo scopo di comunicare al pubblico l’invito all’impegno e al riscatto. A tal proposito vorrei ricordare i tanti palchi delle feste de L’Unità, l’organo di stampa del P.C.I. su cui ci siamo esibiti,spesso costruiti con assi sconnesse posate alla bell’e meglio su conci di pietra da costruzione; quando non erano rimorchi di trattori abbelliti con qualche metro di fodera rossa che pendeva dalle sponde. Non di rado l’amplificazione vocale era la stessa che, montata su una macchina, era servita per fare il giro del paese ad annunciare il programma della festa. Il cachet, neanche a dirlo, era misero: trentamila lire comprese le spese per raggiungere il posto e da cui veniva tolto anche qualche migliaio di lire come sottoscrizione a L’Unità.

I secondi termini dell’equazione rappresentano, senza giri di parole, il veicolo di una merce che, come tale è destinata a produrre,fuori dal nostro controllo,altra merce, secondo le leggi inesorabili del mercato che qualcuno si è sforzato di analizzare ed evidenziare.

A quanto pare invano.